Il filo nascosto – Paul Thomas Anderson – Recensione

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Gary Oldman meriterebbe un Oscar per L’ora più buia e a prescindere per la sua onorata carriera, non nutro alcun dubbio a riguardo. Già. Da quando, però, ho visto Il filo nascosto, la pellicola candidata a sei premi Oscar, diretta e co-prodotta da Paul Thomas Anderson, una scena si ripropone nella mia mente. Mi spiego: 4 marzo 2018, durante la cerimonia degli Oscar Daniel Day-Lewis in sala col suo vestito elegante e forte della sua interpretazione in un ruolo cucito egregiamente su misura, riceve un dono. D’altronde, non sarebbe né un premio sprecato, né la prima volta per un artista, con all’attivo altre cinque candidature come miglior attore protagonista, tre delle quali si sono materializzate in statuette (Il mio piede sinistro, Il petroliere, Lincoln).
Reynolds Woodcock (Daniel Day -Lewis) è un rinomato sarto che nella Londra degli anni 50’ che, dirige insieme alla sorella Cyril (Lesley Manville) la nota House of Woodcock. I suoi capi influenzano la moda britannica del dopoguerra e sono richiesti da reali e personaggi noti. L’incontro con Alma Elson (Vicky Krieps) stravolge i piani dello Stilista, scapolo impenitente.

“Mi sento insicuro riguardo a qualcosa che non posso toccare. Solo farfalle” (D. W.)
Come potremmo definire il protagonista dell’ottavo lungometraggio di Anderson? Di certo un uomo che non ama iniziare la giornata o meglio perdere tempo con una discussione. Un uomo pignolo, che svolge un lavoro che, d’altra parte, richiede precisione. Un uomo che tende a celare le proprie insicurezze dietro drappi di stoffe.
Nessun colpo di scena, nessun ritmo incalzante domina l’esplorazione del connubio sentimentale tra Reynolds e Alma, “ma” i due protagonisti sanno imporsi con garbo e permettono ai loro personaggi di aderire alla realtà in maniera convincente. Scusate se è poco.

“Puoi cucire quasi ogni cosa nel tessuto di una giacca. Segreti. Monete. Parole, piccoli messaggi” (D.W.)
Alma è un po’ la Cenerentola che Reynolds cercava da “moltissimo tempo”. Bella creatura, seppur con le sue imperfezioni, diviene musa e modella dello stilista, ma anche confidente cui poter narrare nostalgie e mancanze nascoste dietro i fili che compongono un tessuto di tutto rispetto.
La distanza che si crea soprattutto quando “c’è sempre gente intorno” mina un rapporto che, tuttavia, tra comprensioni e tensioni, tra funghi e in tal caso nuovi pizzi più che vecchi merletti, si evolve!
“Non attaccare briga con me. Di certo non ne usciresti vivo. Passerei sul tuo cadavere e saresti tu a finire a terra. Intesi?” (Cyril)

Cyril, affettuosamente denominata dal fratello “spina nel fianco” è uno di quei personaggi cui ci si può affezionare pian piano quasi con stupore. Una sorta di signorina Rottermeier che tende sempre più ad ammorbidirsi, alle prese con un uomo, che anche sforzandosi non riuscirebbe a far trasparire l’1% della “scorbuticità” del nonno di Heidi.
Come si fa a descrivere un’opera maestosa e al contempo caratterizzato da una trama semplice, paradossalmente senza fronzoli come quella di “Il filo nascosto”? Si procede per aggettivi ed elogi? Esteticamente impeccabile, maestria in ogni gesto interpretativo o atmosfera dominata da un’incontenibile raffinatezza. Forse non basta.

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